La farfalla d'oro

La farfalla d'oro

                                                                     
   


C'era una volta in un tempo lontano lontano,  in un regno lontano, un re che aveva preso in moglie una donna molto bella e buona. Vivevano tutti e due felici in un palazzo circondato da uno stupendo giardino con fontane d'acqua zampillante,  aiuole fiorite,  piante rare ed esotiche.
 Questo giardino era il vanto e l'orgoglio del re soprattutto perché a crearlo era stata la sua cara moglie,  la bella regina,  la quale adorava le piante e sapeva coltivarle con tale amore da farle fiorire in tutte le stagioni dell'anno.
In primavera,  nel tripudio della fioritura,  accadeva un fatto straordinario.  Il giardino si riempiva di farfalle di tutti i tipi e di tutti i colori.  Queste bellissime creature volavano di fiore in fiore poi si raccoglievano attorno alla regina posandosi su di lei, sulle sue spalle,  sui suoi capelli,  sulle sue mani delicate quasi lei fosse il più bel fiore del giardino. La gente del popolo che passava là vicino guardava meravigliata la sua regina adornata da quegli straordinari gioielli viventi.  Ben presto la chiamarono:  la regina delle farfalle.



(illustrazione di Flavia Sartori)



Un giorno al re e alla regina nacque una bella bambina,  una principessina alla quale venne dato il nome di Rosalice in ricordo ed onore delle due nonne che si chiamavano una Rosalinda e l'altra Arpalice.  Il babbo e la mamma però la chiamavano affettuosamente Rosalì e così la chiameremo d'ora in avanti anche noi.
Purtroppo poco tempo dopo la nascita di Rosalì la regina si ammalò di una malattia grave e malgrado le cure dei migliori medici del Regno in poco tempo morì.
Tutto il popolo pianse la bella e buona regina,  la loro regina delle farfalle ma,  più di tutti la pianse il re che l'amava tanto e che per questo non si sposò mai più.
Accadde così che Rosalì,  rimasta orfana di mamma ad appena un anno,  fosse cresciuta dal padre,  il re,  il quale però per il bene che le portava la crebbe alquanto viziata.
Questa fanciullina dunque  era molto bella ma anche molto capricciosa.  Non aveva mai vestiti sufficientemente belli -  a parer suo -  malgrado il padre facesse venire dai posti più lontani le stoffe più belle e le gemme più preziose e i maggiori sarti del Regno lavorassero giorno e notte quasi solo per cucire i vestiti a lei destinati.  E  i calzolai poi?  Anche loro cucivano in continuazione scarpette di tutti i tipi e di tutti i colori e anche queste non erano mai morbide e belle a sufficienza.
Il re,  vedendo  i continui capricci della sua figliola si rammaricava molto ma non aveva il coraggio di sgridarla troppo perché pensava che per una bimba la mancanza della mamma fosse la più grave delle sventure e non voleva aggiungere a questa anche sgridate e punizioni.
Così nessuno riprendeva la cattivella quando mortificava una servetta perché aveva trovato una pieghettina sulle lenzuola appena stirate o un granello di polvere sul comò spolverato alla mattina.  Oppure quando sgridava le cuoche perché il budino non era abbastanza dolce o era troppo dolce o non era abbastanza sodo o troppo sodo.
Il re sospirava e lasciava correre e si consolava andando a passeggiare in giardino pensando a come sarebbero state migliori le cose se la sua adorata moglie fosse stata ancora viva.
Il re faceva coltivare con la massima cura il suo giardino nel ricordo della sua amata.
Gli piaceva passeggiare tra le aiuole con la figlia.  In primavera quando arrivavano gli sciami di farfalle gli sembrava di rivedere la sua regina circondata da quelle stupende creature. Da quando ella era morta le farfalle si posavano sì  sui fiori ma mai su nessun essere umano. Se qualcuno tendeva la mano per sfiorarle esse fuggivano via:  la loro regina non c'era più.




(Illustrazione di Flavia Sartori)

Ora accadde che proprio in un giorno di primavera, mentre padre e figlia passeggiavano in giardino la fanciulla fosse attirata da uno strano bagliore. Corse incuriosita verso la strana luce mentre il padre la seguiva ed entrambi restarono a bocca aperta di fronte a ciò che videro. Di fronte a loro, posata su una foglia, una bellissima farfalla d’oro risplendeva luccicante muovendo leggermente le ali.
“Oh! Babbo, guardate!” - disse Rosalì. E fece per prenderla.
“No figlia mia, non toccarla!” - la fermò il padre che si rendeva conto di essere di fronte ad un fenomeno non comune. -“Devi sapere che le farfalle possono vivere soltanto libere. Questa, non è una comune farfalla, ha qualcosa di straordinario! Accontentiamoci di ammirarla. Può darsi che torni a visitarci altre volte e, se non viene disturbata, che resti all’interno del nostro giardino”.


                                                            (Illustrazione di Flavia Sartori)


La principessa acconsentì di malavoglia ma per non dispiacere il padre sorrise. Rimasero alcuni minuti ad osservare la bellissima creatura d’oro finché questa prese il volo e si allontanò al di fuori del giardino.

Il giorno dopo la principessa girò a lungo per il giardino alla ricerca della farfalla d’oro ma non la trovò.





“Ecco” - Si disse indispettita - “Se ieri l’avessi catturata sarebbe stata mia per sempre e avrei potuto ammirarla ogni volta che avessi voluto!”

Qualche giorno dopo i giardinieri corsero a chiamare la principessa: la farfalla d’oro era tornata.

Rosalì scese nel giardino e la vide posata su di una rosa.

Da quella volta tutte le primavere la farfalla tornava a visitare il giardino del re e la si poteva trovare ora qua sopra le rose ora là sopra il lillà e sempre lasciava tutti a bocca aperta tanto era bella e luminosa.

Quando cominciava l’estate Rosalì dormiva a volte con le finestre aperte per godere il fresco della notte. A volte la fanciullina si svegliava con l’impressione di una carezza sulla guancia. Si svegliava ma non trovava nessuno accanto a lei. E si accorgeva che posata sul marmo del balcone c’era la farfalla d’oro che muoveva appena le ali.  Allora si alzava e, piano piano, si avvicinava per prenderla ma, appena tendeva le mani ecco, quella se ne volava via tornando in mezzo ai fiori.



(illustrazione di Flavia Sartori)

Gli anni passarono e Rosalì si fece grande. Suo padre il re pensò che ormai era una ragazza da marito e per il giorno del suo 18° compleanno organizzò un gran ballo al quale furono invitati tutti i più nobili principi scapoli dei regni vicini. Voleva che tutti conoscessero e ammirassero quella bella figlia e, magari, qualcuno la chiedesse in sposa.
La principessa si accinse ai preparativi della grande festa e, da quella vanitosa che era, voleva farsi un vestito che fosse il più bello mai visto.
Non si riusciva però ad accontentare l’esigente fanciulla!
“Questo non mi piace… Questo non s’intona col colore dei miei occhi ...Questo l’ho già visto, questo no, quest’altro no…” - e via così.
Ad un tratto ebbe un’idea.
“Voglio” - disse - “un vestito tutto d’oro e, sul corpetto, voglio appuntata una spilla uguale in tutto e per tutto alla farfalla d’oro del mio giardino”.
Tutti si guardarono costernati. Per prendere tempo il re fece arrivare in gran fretta delle stoffe d’oro puro e mise all’opera il più bravo sarto del regno.
Ma per la spilla...come fare? L’orafo interpellato disse che, almeno, avrebbe dovuto vederla da vicino questa famosa bellissima farfalla.
A malincuore il re, per far felice la figlia, ordinò che fosse catturata la farfalla seppure con tutte le cautele per non ferirla o danneggiarla in alcun modo. Ma quella, stranamente, riusciva sempre a sfuggire alle mani dei giardinieri che si affannavano a rincorrerla con reti e retini. Alla fine sparì dal giardino.
Quella sera, la principessa indispettita e di cattivo umore se ne andò a dormire senza degnare di uno sguardo lo stupendo vestito d’oro che il sarto aveva confezionato e che era pronto per essere indossato di lì a pochi giorni, al ballo.
Durante la notte si svegliò con la sensazione che qualcuno la chiamasse: “Rosalì!...Rosalì!...”
Si alzò e corse al balcone. Nel folto del giardino vide, nel buio, risplendere una vivida luce d’oro: la farfalla era tornata.
Un cattivo pensiero passò per la mente della fanciulla.
“Non farò in tempo a farmi fare la spilla d’oro che volevo” - pensò - “Ebbene, catturerò la farfalla, la trapasserò con uno spillone e l’appunterò così sul mio vestito!”
Per muoversi più agevolmente indossò un semplice vestito senza nastri ne’ fiocchi e scese di corsa le scale che portavano al giardino. Quando fu presso la farfalla stese le mani per prenderla ma quella, ancora una volta, si alzò e volò via.
Rosalì la rincorse senza rendersi conto che la farfalla, piano piano, si inoltrava fuori dal giardino del re. Volando, con la sua luce illuminava il giardino, poi i prati intorno, infine si inoltrò nel bosco sempre seguita da Rosalì che, incaponita, voleva catturarla e farne una spilla.



Incurante della notte, dei cespugli che le strappavano il vestito, dei rovi che le graffiavano il viso e le braccia, Rosalì continuava a correre dietro alla luce emessa dalla creatura d’oro.
All’improvviso questa sparì e Rosalì si trovò all’interno di un fitto bosco sconosciuto, buio e pauroso. Si rese conto di essersi perduta. Chiamò a gran voce per avere aiuto ma nessuno rispose. Piena di paura vagò inutilmente cercando una strada e, alla fine, cadde sfinita e si addormentò
Quando si svegliò il mattino dopo il bosco le apparve meno pauroso ma sempre sconosciuto.
Della farfalla neppure l’ombra. Si incamminò in cerca di aiuto



Cammina, cammina, cerca di qua, cerca di là, alla fine trovò un sentiero e provò a seguirlo.
Camminò per molte ore e ancora non si trovava anima viva. Aveva fame e sete. Infine, verso il tramonto, arrivò in un piccolo villaggio.
“Meno male!” - pensò - “Manderò a chiamare mio padre, manderò a prendere una carrozza per tornare a casa”.
Bussò alla porta della prima casa. Una donna aprì e la guardò malamente. Rosalì era sporca, spettinata e coi vestiti stracciati.
-”Sono la principessa Rosalice” - disse - “Mandate a chiamare mio padre il re. Mi sono persa”.
- “Come no Principessa!” - rispose la donna che l’aveva scambiata per una zingara. E la scacciò:- “Vattene, vattene! Altrimenti sciolgo il cane che ti morda!”
Rosalì scappò per la paura del cane e andò a bussare a un’altra casa. Si affacciò un uomo.
-  “Sono la principessa Rosalice. Mandate prego a chiamare mio padre: mi sono persa!”
L’uomo si mise a ridere canzonandola.
 “Come no cara Principessa!” - disse -  “Sempre al suo servizio! Vattene brutta vagabonda o vado a chiamare le guardie!” E le chiuse la porta in faccia.
E così fu per tutte le case del villaggio. Nessuno la riconobbe, nessuno le credette, nessuno l’aiutò. Tutti la scacciarono in malo modo.
Sconfortata Rosalì continuò la sua strada sperando di incontrare qualcuno che finalmente l’aiutasse.

Ai margini del bosco bussò ancora a una porta. Si affacciò una vecchina.
Resa più umile dalla fame Rosalì disse:
-”Scusate nonnina, non avreste qualcosa da mangiare e da bere? Mi sono persa nel bosco e non ho mangiato e bevuto niente da ieri!”
- “Eccoti dell’acqua di fonte mia cara. Bevi fin che vuoi ma, quanto a mangiare, qui mangia solo chi lavora. Quindi se vuoi da mangiare devi farmi qualche lavoro e io ti darò del pane!”
- “Ma io sono la figlia del re. Io non ho mai lavorato in vita mia!” - disse orgogliosa Rosalì.
- “Come figlia di re mi sembri un po’ sciupata” - disse la vecchina guardando i vestiti strappati e la pelle graffiata della fanciulla.
- “E se non hai mai lavorato ecco una buona occasione per cominciare!”
Resa più umile dalla fame Rosalì accettò di lavorare per la vecchina. Pulì il pollaio, diede da mangiare alla mucca e alle galline, spazzò l’aia dalle foglie portate dal vento, attinse l’acqua al pozzo e la portò in casa alla vecchina. Alla fine, per ricompensa, ebbe un pezzo di pane che mangiò come fosse la più buona focaccia che grandi cuochi avessero sfornato per lei.
Poi, siccome era scesa la sera, chiese alla donna se poteva ospitarla per la notte.
-  “Puoi dormire nella stalla, c’è della buona paglia. Sei giovane e non ti ammaccherai le ossa.”
Così, per non dormire un’altra volta all’addiaccio sull’erba,  Rosalì si adattò a farsi un giaciglio di paglia nella stalla e lì dormì , stanca e infelice.
Il giorno dopo Rosalì riprese il cammino e si avviò verso quella che le era stata indicata come la strada per la città più vicina.
Cammina, cammina, i piedi le dolevano e la fame la riprese.
Si fermò presso la capanna di un carbonaio dove una donna lavava i panni in una tinozza.
- “Scusate brava donna” - disse Rosalì - “Non avreste qualcosa da mangiare? Sono digiuna da ieri”.
-”Mia cara ragazza” - disse la donna - “Te ne darei ben volentieri se ne avessi! Purtroppo non ho da mangiare a sufficienza nemmeno per me e per il mio bambino! Senti come piange poverino!”
Effettivamente si sentiva all’interno della capanna un bimbo piccolo piangere e Rosalì, mortificata, continuò per la sua strada dimenticandosi, stavolta, di dichiararsi principessa.
Dopo molte ore di cammino trovò una casetta piccola dove una giovane ragazza vestita poveramente cantava e lavorava al telaio.
-”Mi chiamo Rosalì” - le disse - “E’ un giorno che cammino senza nulla mangiare. Non avresti qualcosa da mettere sotto i denti?”
La ragazza sorrise.  - “Mi dispiace” - rispose - “Sono molto povera e devo finire questa tela per avere i pochi soldi per potermi comprare del pane. Però, guarda sopra il tavolo. C’è una mela selvatica. Puoi mangiarla se vuoi, io ne farò a meno. Vedo bene che sei più povera di me!”
Rosalì arrossì ma prese la mela selvatica e la mangiò con buccia e torsolo poi ringraziò e proseguì il suo cammino pensando, stupita, che era ben strano che la ragazza cantasse visto che non possedeva nulla, né cibo, né vestiti, né gioielli, né compagnia. Per un pezzo di pane doveva lavorare al telaio dall’alba al tramonto. Eppure, questa fanciulla le aveva dato quel poco che aveva.
-”Quando tornerò a palazzo” - pensò - “manderò i valletti con una carrozza di bei vestiti e tante cose buone da mangiare per compensarla della sua generosità”.
Cammina, cammina, finalmente arrivò alla città vicina e si diresse subito al palazzo del Governatore per farsi riconoscere e riaccompagnare dal re suo padre.
Quando arrivò alla porta e si presentò come principessa Rosalice che aveva smarrito la strada del suo palazzo le guardie si sbellicarono dalle risate e poi la scacciarono come si scaccia una vagabonda.

Rosalì piangente corse via e si rifugiò sotto il tetto di una locanda.

Qui, il padrone la vide e, da furbo qual’era, pensò che una ragazza così povera avrebbe potuto lavorare per lui a poco prezzo e così le offrì un soldo al giorno in cambio di lavori molto pesanti: spazzare il cortile, strigliare e abbeverare i cavalli, lavare biancheria e tovaglie della locanda e via così.

Rosalì per poter mangiare e dormire con  un tetto sopra la testa fu costretta ad accettare.

Così cominciò a fare la serva alla locanda sfinendosi di lavoro tutti i giorni compresa la domenica.

La sera, morta di stanchezza, si coricava su di un mucchietto di paglia e piangeva, piangeva pensando al suo palazzo, al suo giardino ma, soprattutto, al suo babbo il re che era l’unico che l’aveva amata a parte la sua povera mamma morta. Pensava anche che non avrebbe mai più trattato male le persone che lavoravano perché,  chi lavora, merita ogni rispetto anche chi fa il lavoro più umile del mondo.

Una sera mentre singhiozzava più triste del solito, nel buio le parve che qualcuno la sfiorasse sulla guancia, le facesse una carezza. Aperse gli occhi impaurita ma non vide nessuno. Si sdraiò ancora e chiuse gli occhi. Ancora ebbe l’impressione di una carezza sulla guancia, quasi lo sfiorare di un’ala di farfalla. Si drizzò a sedere e improvvisamente davanti a sè vide una luce.

Piano, piano,  davanti a lei si materializzò la farfalla d’oro.

La creatura batteva le ali e brillava di luce dorata. Rosalì tese le mani ma quella si allontanò appena quel poco per non esser presa.

Rosalì fissava la farfalla e ad un tratto le parve di vederla più grande, sempre più grande. La farfalla batteva le ali e diventava sempre più grande finchè raggiunse le dimensioni di una persona umana. Rosalì la fissava affascinata finché al posto della farfalla apparve una donna, una bella signora dal viso dolce e sorridente.




-“Rosalì” - disse la Signora con voce dolce - “Mia cara bambina non piangere! Io sono qui per aiutarti e posso aiutarti soltanto ora perché sei cambiata. Non sei più quella bambina capricciosa ed egoista che pensava solo a sè. Ogni anno tornavo nel giardino del palazzo per vederti e speravo di trovarti cambiata, più buona e pietosa. Ma ti trovavo ogni volta più egoista e capricciosa. Capricciosa al punto di voler uccidere trafiggendola con uno spillo una creatura che mai ti aveva fatto del male!”

- “Mi dispiace!” - disse singhiozzando Rosalì - “Mi dispiace tanto! Prometto che se torno dal babbo sarò più buona!”

- “Ne sono certa cara” - disse la misteriosa signora - “Ora alzati e seguimi. Devi tornare a casa. Il tuo papà è tanto preoccupato per la tua scomparsa. Ti ha fatto cercare dappertutto! Ti farò da guida nel bosco sulla strada del ritorno. Tu non dovrai far altro che seguirmi.”

- “Sono tanto stanca” - disse Rosalì - “Non ce la farò mai a camminare tanto da arrivare alla reggia del babbo!”

- “Anche per me la strada è tanta” - disse la Signora - “Pensa per quante ore dovrò battere le ali e volare. Ci aiuteremo  a vicenda. Quando sarai stanca io ti aspetterò e ti conforterò, quando sarò stanca io tu mi offrirai la mano e io mi ci poserò per riposare.”

Rosalì si alzò dal giaciglio per seguire la misteriosa signora ma, ricordandosi della fame patita durante il precedente viaggio, scese in cucina per prendere qualcosa da mangiare.

-“Non è bello rubare il cibo al padrone” - pensò - “Però, dopotutto, avanzo ancora la paga di una intera settimana!”

Prese allora una tovaglia, la stese sul tavolo e ci mise sopra due polli arrosto, una dozzina di uova, due pagnotte dorate, una scatola di biscotti.  Chiuse i quattro lembi della tovaglia a mo’ di sacco e se la caricò in spalla. Non è che pensasse di mangiare lei tutta quella roba per strada! No, a dire il vero aveva una certa idea per la testa. Poi vi dirò.

Uscì quindi piano piano dalla locanda e si avviò  spedita dietro alla donna misteriosa.

Questa, all’uscita della città, si ritrasformò in farfalla e, precedendo Rosalì, con la sua luce dorata le mostrava la strada da seguire in mezzo al bosco.





Cammina, cammina, Rosalì si sentiva le ali ai piedi al pensiero di tornare a casa. Quasi non si accorgeva del peso del sacco che aveva in spalla.
Dopo molte ore di viaggio nel buio della notte arrivarono alla casetta della ragazza povera, quella che aveva donato a Rosalì la mela selvatica.

Qui Rosalì si fermò e tolse dalla tovaglia un pollo, sei uova e una pagnotta. Mise tutto sopra il davanzale della finestra dentro un tovagliolo. Si rimise in spalla il resto e proseguì il viaggio sempre al seguito della farfalla.

Cammina, cammina, dopo altre ore di viaggio nella notte, arrivarono alla capanna del carbonaio. All’interno si sentiva sempre il bambino piangere. Qui Rosalì posò sulla soglia della porta la tovaglia col resto del suo carico: un pollo, sei uova, una scatola di biscotti e la pagnotta. Bussò piano alla porta per non spaventare gli abitanti della capanna e, senza aspettare, corse verso il bosco dove l’aspettava la farfalla. Era felice pensando alla gioia che avrebbero provato quelle persone alla vista di un buon pranzo!

Cammina, cammina, il viaggio proseguiva. Ripassarono sulla strada dove c’era la casa della vecchina, poi per il villaggio dove nessuno l’aveva aiutata. Qui, a Rosalì si strinse il cuore pensando a quei brutti momenti ma, ammaestrata dai tanti fatti accaduti, non provò rancore e li perdonò di cuore tutti.

Cammina, cammina, si cominciava a intravvedere la luce dell’alba e Rosalì si accorse che il bosco si stava diradando: il loro viaggio volgeva alla fine.


Giunta nei pressi del palazzo reale la farfalla si posò su un ramo d’albero e ancora accadde la metamorfosi. La farfalla piano piano si ingrandì fino a diventare una persona. In sua vece apparve la bella signora.
- “Siamo arrivate cara Rosalì” - disse - “Ora ci dobbiamo lasciare. Il palazzo è lì, puoi arrivare in pochi minuti. Il tuo babbo è in pena per la tua assenza. Non farlo aspettare. Sarà tanto felice di rivederti e sarà ancora più felice quando si accorgerà di come sei cambiata!”
- “Non ci rivedremo mai più?” - chiese Rosalì che dentro di sè presagiva che non avrebbe mai più rivisto la Signora.
- “No cara, il mio compito è finito. Tu non hai più bisogno di me. Però prima di lasciarti ti voglio fare un dono. Vedi questo anello?” - E mostrò un bellissimo anello d’oro tempestato di zaffiri e rubini.


- “Me lo donò tanto tempo fa un re buono e generoso che mi amava tanto. Te lo voglio dare in mio ricordo.”
E le porse l’anello che Rosalì mise al dito. Poi, le prese il viso tra le mani e la baciò.
- “Sii felice bambina mia!”
Poi, in pochi istanti si ritrasformò in farfalla e volò via.

Rosalì corse verso il palazzo. Salì le scale a quattro a quattro chiamando a gran voce il padre.
- “Babbo! Babbo!”
Le guardie e i servi la guardavano stupiti vedendo il modo in cui era vestita: sembrava una mendicante.
Il re, al sentire la voce della sua amata figlia le corse incontro e l’abbracciò.
Rosalì piangendo dalla gioia gli raccontò tutto e gli mostrò l’anello che la Signora-farfalla le aveva donato.
Il re restò impietrito riconoscendo nel gioiello l’anello col quale aveva chiesto in sposa la sua amata regina, la mamma di Rosalì.
Da allora Rosalì fu buona e affettuosa col suo babbo, generosa con tutti, paziente e comprensiva.




L’anno successivo, in un giorno di maggio splendente di sole e di fiori, Rosalì andò sposa ad un principe bello e ricco.
Rosalì arrivò alla chiesa dove l'aspettava il suo principe a bordo della carrozza reale.
Quando scese dalla carrozza al braccio del re suo padre per avviarsi verso la chiesa improvvisamente uno stuolo di farfalle la circondò. Le belle creature le si posarono sui capelli, sulle spalle, sulle braccia, sul vestito. E fu come fosse adorna dei più bei gioielli mai visti al mondo!
Rosalì era felice, il re era felice, il principe era felice.


E vissero felici e contenti per tutta la vita!

(fine)






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