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(illustrazione di Flavia Sartori) |
C'era una volta una principessa che si chiamava Florinda. Quando nacque ebbe in dono oltre alla bellezza anche una voce meravigliosa, tanto bella che i suoi genitori la soprannominarono "Belcanto".
La fanciulla cantava tutto il giorno facendo la gioia del re e della regina che stavano ore ed ore ad ascoltarla dimenticando, a volte, gli affari di governo.
La gente che passava vicino al palazzo del re si fermava ad ascoltare incantata e si dimenticava di proseguire la propria strada tanto che le guardie avevano un bel daffare a disperdere certi assembramenti che si formavano sotto le finestre del palazzo reale.
- "Circolare, circolare messeri e madame, circolare! - dicevano. Ma...niente! Non si faceva in tempo a mandare via un gruppetto che subito se ne formava un altro. E tutti con il naso in su a guardare le finestre da dove la voce melodiosa spargeva per l'aria le sue note preziose.
Gli abitanti della città a forza di sentire questo canto meraviglioso si erano tutti appassionati alla musica al punto che c’era tutto un brulicare di attività. Chi organizzava cori, chi gorgheggiava da solo, chi formava quartetti, quintetti, chi intere orchestre sinfoniche, chi faceva la coda per assistere all’Opera. I maestri di musica avevano allievi in coda alla porta e i negozi di strumenti musicali facevano affari d’oro.
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(illustrazione di Flavia Sartori) |
Si appressava il giorno in cui la principessa avrebbe compiuto sedici anni e la regina sua madre pensò per l’occasione di farle un dono speciale. Fece venire a corte i migliori gioiellieri del regno per scegliere qualcosa di veramente prezioso.
Tra i mille gioielli proposti la sua attenzione fu attirata da un ciondolo d’oro tempestato di pietre preziose. Il gioiello era veramente bellissimo ma anche costosissimo.
- “Mia cara moglie” - disse il re - “Mi sembra troppo costoso questo tuo regalo. Non vorrei che poi nostra figlia si insuperbisse troppo!”
-”Mio caro marito” - disse la regina - “Tu sai bene che nostra figlia si merita ogni bene da parte nostra e poi, pensa, anche quando noi non ci saremo più, ogni volta che lei indosserà o guarderà questo eccezionale gioiello si ricorderà della sua mamma e del suo babbo e di quanto le abbiamo voluto bene!”
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(illustrazione di Flavia Sartori) |
Si sa quanto i papà siano disposti a cedere per far felici le figlie specialmente se sono sollecitati con le parole giuste dalle loro mogli. Così il re acconsentì e il giorno del suo compleanno Belcanto ricevette in regalo un astuccio di velluto con dentro il bellissimo ciondolo d’oro. Sul retro c’era incisa una dedica affettuosa dei suoi genitori. La fanciulla lo allacciò ad un nastrino e se lo mise al collo e corse cantando ad abbracciare e ringraziare la mamma e il babbo.
La fama della città e della principessa, di bocca in bocca, si sparse per il regno fino a che giunse alle orecchie di un mago potentissimo il quale, incuriosito, volle andare a vedere coi propri occhi anzi, a sentire colle proprie orecchie, insomma, di persona, questo fatto straordinario.
Si travestì da mercante e, in groppa al suo cavallo con al seguito un asino carico di mercanzie, si presentò alle porte della città. Naturalmente anche quel giorno c’era il solito assembramento con le guardie che cercavano di sloggiare la gente.
-”Circolare messeri! Circolare!” dicevano facendo la faccia severa. In realtà anche loro erano orgogliosi di essere al servizio di una principessa così famosa.
Il mago ebbe così modo di ascoltare il canto della principessa e decise di conoscere la fanciulla. Chiese quindi di essere accompagnato a palazzo perché - disse - aveva da vendere delle stoffe così preziose e rare che solo una figlia di re era degna di portare.
Quando fu ammesso alla presenza del re, della regina e della principessa e vide quanto la fanciulla era bella subito se ne innamorò e decise che l’avrebbe sposata e portata a vivere nel suo palazzo in mezzo alla foresta dove ella avrebbe cantato solo per lui.
(illustrazione di Flavia Sartori)
Deciso che ebbe ciò, il giorno successivo si trasformò in principe giovane e bello e si presentò al re chiedendo la mano della principessa. Il re e la regina però non avevano nessuna intenzione di separarsi dalla loro amata figliola che, secondo loro, era troppo giovane per sposarsi e malgrado il mago-principe offrisse loro i doni più preziosi rifiutarono l’offerta di nozze.
Arrabbiatissimo l’uomo decise allora che avrebbe portato via la fanciulla con la forza e così fece.
Con un incantesimo fece cadere in un profondo sonno tutti gli abitanti della città quindi, non contrastato da alcuno, rapì la principessa e la portò nel suo palazzo in mezzo alla foresta.
Invano il mago tentò di farsi amare dalla fanciulla che intristita e disperata non cantava più, piangeva tutto il giorno, si rifiutava di mangiare lasciandosi così, a poco a poco, morire.
Non sapendo come affrontare la situazione e temendo che la principessa morisse il mago fece un altro incantesimo che tolse a Belcanto la memoria.
Non ricordandosi più di nulla, né chi era né da dove veniva, la principessa non pianse più. Girava smarrita per il palazzo guardandosi in tutti gli specchi che trovava.
“Chi sono?” - si chiedeva la poverina. Ma non sapeva trovare una risposta. Non si ricordava neppure di saper cantare e quindi se ne stava muta tutto il giorno non avendo nessuno con cui parlare a parte il mago che, però, le metteva una gran paura.
Una notte si svegliò sentendo cantare un usignolo. Ascoltò rapita il canto meraviglioso del piccolo uccello e le sembrò di ricordare qualcosa. Si alzò e guardò dalla finestra il punto da dove veniva il canto. Malgrado la luna piena splendesse in cielo non si vedeva nulla.
Incominciò allora a cantare tentando di comunicare al piccolo uccello tutta la propria pena, la propria solitudine, la nostalgia che sentiva nel cuore di una vita precedente felice.
Il canto della fanciulla si spargeva nel silenzio della notte, si scioglieva in note tristi e commoventi al punto che anche l’usignolo, per ascoltarla, tacque.
Egli naturalmente non capiva il significato delle parole ma il sentimento che il canto esprimeva sì, riusciva a capirlo. Volò rapido verso il balcone del palazzo e vide la bella fanciulla che cantava quindi si fermò lì vicino per ascoltare.
L’usignolo che aveva visto la grande tristezza della fanciulla volò via pensando a cosa potesse fare per farla tornare felice. Volò a lungo sopra la foresta finché arrivò alla città. Si diresse verso il palazzo del re. Lì trovò una grandissima confusione. La regina piangeva perché avevano rapito la sua amata figliola, il re correva a destra e a sinistra con i soldati per cercare la figlia. I cittadini si radunavano sulle piazze discutendo di cosa poteva essere successo alla loro principessa. Le comari discutevano anche loro che, insomma, ormai non si può più vivere al sicuro nemmeno a casa propria perché ti rapiscono le figlie sotto il naso. Quelli che avevano una figlia giovane chi la chiudeva accuratamente sotto chiave, chi la teneva mal vestita e spettinata per farla apparire più brutta, chi le proibiva tassativamente di cantare, neppure a messa, che, guarda, non si sa mai.
E tutti lì intristiti. Quella che prima era stata una città piena di musica e canti si era trasformata in città triste e muta.
Tutto questo vide l’usignolo volando sopra la città e pensò di fare qualcosa.
Volò sul palazzo del re. Le stanze della principessa erano vuote e piene di tristezza. Sulla toeletta, vicino allo specchio, vide in un astuccio di velluto uno splendido ciondolo d’oro tempestato di pietre preziose.
“Che incauti!” - pensò. “Se passa di qua comare gazza…”
Poi invece pensò che se avesse portato un così bell’oggetto alla fanciulla della foresta ella, forse, sarebbe stata meno infelice.
Entrò nella stanza, prese con il becco il nastro col ciondolo e volò via tornando nella foresta.
Arrivò al palazzo del mago dove Belcanto sospirava triste ed entrò dalla finestra nella sua stanza. Depose sul grembo della fanciulla il ciondolo.
Lei, stupita, guardò il gioiello e le parve di averlo già visto, le sembrò di ricordare qualcosa. Poi lo girò e lesse: “ Alla nostra amatissima figlia Belcanto perché si ricordi sempre dei suoi genitori. Mamma e papà”:
Quando lesse quelle parole incise sul ciondolo improvvisamente a Belcanto ritornò la memoria e si ricordò dei suoi genitori, della sua casa, della sua vita e piena di gioia cominciò a cantare.
L’usignolo, felice, rispose al canto col suo canto. Poi, volò sul balcone quasi indicando alla fanciulla cosa fare: fuggire!
Belcanto fuggì dal palazzo del mago quella notte stessa decisa a cercare nella foresta finché non avesse trovato la strada di casa. Così fece.
L’usignolo volava davanti a lei e quando le strade della foresta si intersecavano e c’era pericolo di sbagliare strada la fanciulla si fermava, tendeva l’orecchio, sentiva il canto dell’usignolo e proseguiva nella direzione del canto.
Camminò tutta la notte e all’alba finalmente arrivò alla sua città e alla sua casa dove riabbracciò felice i suoi genitori e tutti fecero gran festa.
Il giorno dopo suo padre il re emise molte ordinanze tra le quali l’ordine alle guardie di arrestare e chiudere in prigione tutti i maghi che si fossero presentati alle porte del regno. Di liberare dalle gabbiette tutti i canarini, i pappagalli e i merli parlanti tenuti per compagnia. Proibì la caccia agli uccellini e, da quella volta, quella fu l’unica città in cui si vedevano gli uccelli cantare e volare in tutta libertà e senza paura e gli umani cantare e suonare in tutta libertà senza paura di stonare.
E vissero tutti felici e contenti anche se dicono che... quando si camminava in certe strade, vicino ai palazzi, bisognava stare attenti a passare sotto i cornicioni perché con tanti e tanti uccelli in giro, poteva capitare qualche spiacevole inconveniente.
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